Caterina d'Alessandria: Una Santa

Che cosa ha spinto cinque artisti di oggi a confrontarsi con una santa del passato, remota e inafferrabile nella propria identità, ed a raccontarla usando proprio un mezzo squisitamente contemporaneo com'è quello fotografico, talvolta così indiscreto e invadente da obbligare ad una riflessione sul compiersi dell'immagine "qui ed ora", davanti ai nostri occhi? Certo questi contrasti, affascinanti e fondativi dell'estetica di un secolo come quello trascorso, hanno giocato molto nell'avviare il meccanismo; ed il gesto temerario dello sporgersi sul «profondo pozzo del passato», che i cinque hanno scelto – ciascuno a suo modo e non senza vertigine – di compiere, può essere davvero qualcosa che ancora ci riguarda da vicino. Ragionando sulla memoria dei propri percorsi individuali e lasciando che essa si intrecciasse liberamente e dunque fatalmente con la memoria collettiva a cui diamo il nome di cultura e di tradizione, e di cui la santa diviene in qualche modo il catalizzatore, i risultati non potevano che assomigliare a qualcosa di vivo e composito: un intrico di possibilità e di sentieri, un paesaggio di forme essenziali o ridondanti, una costellazione di sguardi e di sentimenti che filtrano e attraversano il tempo.

 

Angela Galli ha lavorato sulla corrispondenza fra culture diverse, alla ricerca di un sincretismo profondo, di sapore mediterraneo, che travalica il cattolicesimo; perciò la sua Santa Caterina, còlta nel momento delle nozze mistiche, è vestita di abiti rinascimentali ma indossa la corona berbera, mentre la ruota, simbolo del martirio, è anche il mandala e l'aureola che circonda l'apparizione dello sposo.

 

Andrea Lunghi, corentemente al proprio linguaggio più asciutto, ha indagato invece la potenza visiva sprigionata dall'icona: la sua Santa Caterina, satura degli sguardi fieri e distanti di tante immagini del passato – da Piero a Leonardo – di esse rinnova l'enigma, lanciando, dopo il martirio, una sfida fatta di silenzio, ben più profonda del crudele taglio sul collo, "portato" con disinvoltura al pari delle perle.

 

Fiona Buttigieg, attraverso l'autoscatto che la ritrae incinta, in tuta da meccanico e circondata da pneumatici, ha riflettuto sull'antico tema iconologico per cui lo strumento del martirio diventa anche campo di speciale patronato. A Santa Caterina, patrona dei carrettieri, dei gommisti e per estensione...sferica, del parto, l'artista offre dunque in protezione la sua propria immagine, come se si trattasse di un ex-voto.

 

Questa pratica popolare rimanda alle suggestioni del luogo, che sono al centro del lavoro degli altre due fotografi. Attraverso la tecnica del compositing, applicata agli spazi silenziosi dell'eremo, Alessandro Beneforti ricrea l'atmosfera straniante e densa di attesa delle due apparizioni miracolose della santa di Alessandria, mentre Marco Barretta ha scelto di concentrarsi su un interno di stanza, quasi a dare voce e volto al tempo. È infatti sul davanzale della stessa finestra affacciata sulla vastità luminosa del paesaggio, che egli riallestisce nel suo Omaggio a Hervè Guibert, l'immagine di sottile malinconia fermata trent'anni fa in quello stesso luogo tanto amato, dal fotografo francese: l'attimo in cui il vento solleva la tenda spingendola ad avviluppare le rose sul davanzale come in un improvviso, dolce sudario.

 

Susanna Ragionieri, giugno 2011